Valentina Chiocchi
Ero partita con l’idea che la settimana a Lampedusa l’avrei trascorsa aiutando molte persone provenienti da tanti paesi diversi. A pensarci bene ero anche impaurita all’idea perché non sapevo se e per quanto ne sarei stata capace. I racconti alla televisione non mi davano certo conforto e fino a che non mi sono trovata sull’isola non mi sentivo tranquilla, o almeno non del tutto. Quello che credevo è crollato in poche ore, come un castello di carte: niente di tutto quello che avevo sentito su Lampedusa e soprattutto sui migranti presenti è risultato veritiero durante la mia permanenza.
Il 3 ottobre 2013 il mare è stato testimone di una grande tragedia dove 366 persone hanno perso la vita. In quell’occasione gli isolani si sono adoperati il più possibile per aiutare chi era rimasto in vita o per salvare chi si trovava in pericolo. Anche grazie all’intervento della Guardia Costiera sono state portate in salvo 155 persone. Numeri che non si devono dimenticare, perché è giusto fare il conto di chi non c’è più, ma si deve anche dire grazie a chi lotta ogni giorno per salvare vite.
Dopo il 3 ottobre, il nostro Paese ha attivato un’operazione militare e umanitaria, Mare Nostrum, allo scopo di salvaguardare la vita di chi si trova sui barconi per trasferirli nei centri disponibili (diversi da quello di Lampedusa oramai chiuso) e assicurare alla giustizia i trafficanti che lucrano sulla disperazione dei migranti fuggiti da guerre, carestie e persecuzioni. Lampedusa, terra di transito sin dalle origini della sua storia, è infatti oggi luogo di approdo per chi viene da un continente geograficamente così vicino ma culturalmente ancora lontano.
Un episodio significativo è stato quando 11.000 Tunisini sono sbarcati a seguito del crollo della dittatura di Ben Ali e in quell’occasione gli isolani hanno aperto le loro case per ospitare quelli che chiamavano fratelli offrendo loro un pasto caldo, vestiti, o semplicemente delle coperte. Le parole commosse di un’anziana del posto sono state testimonianza del compito “che le è stato dato dal Signore”: donare anche “quel poco che ha con il cuore”. Dalle sue parole sono emerse le criticità di questa realtà: gli isolani sono alla ricerca della loro identità; il più delle volte si sentono usati e abbandonati e vorrebbero tornare ad essere i primi ad accogliere le persone appena arrivate. Un’isola problematica che deve essere aiutata, che lotta ogni giorno per l’approvvigionamento di energia elettrica, gas e acqua potabile.
L’immigrazione non può però essere più vista come un’emergenza da tamponare ma come un fenomeno senza tempo che ha bisogno di essere strutturato. Da febbraio di quest’anno, dietro gli auspici di Papa Francesco, si è stabilito allora sull’isola il “Centro operativo Caritas-migrantes” attraverso il quale è possibile vivere esperienze di formazione e volontariato come quella che la Caritas di Foligno ha vissuto dal 20 al 27 luglio scorsi con due operatori e due volontari. Obiettivo, essere punto di riferimento continuo per la popolazione e per le associazioni che collaborano per i migranti e per aiutare a contrastare le povertà presenti sull’isola.
Papa Francesco, che scelse proprio Lampedusa per il suo primo viaggio apostolico, quell’occasione usò delle parole forti ma utili a risvegliare le coscienze per una responsabilità collettiva: non dobbiamo più cadere nella “globalizzazione dell’indifferenza”.
Dalla Gazzetta di Foligno