“Ci vorrebbe un miracolo”. E’ la scritta che campeggia tra i muri di Trastevere, dove ci troviamo a passeggiare dopo aver partecipato alla veglia di preghiera nella Basilica di San Paolo insieme alle delegazioni diocesane da tutta Italia, in attesa dell’incontro con il Santo Padre. E’ festa: è il giubileo della Caritas, l’anniversario dei cinquant’anni dalla sua fondazione, il 2 luglio 1971, per volere di Paolo VI: una gioia che ricorre in uno degli anni più dolorosi nella storia della Caritas stessa, quello della pandemia, dove anche la Caritas di Foligno si è ritrovata a dover lavorare oltre le proprie forze. “Ci vorrebbe un miracolo” recita quella scritta persa tra i muri dei vicoli romani e il miracolo, il giorno dopo, arriva. Arriva con la possibilità – preannunciata alla nostra Caritas di Foligno nei giorni precedenti – di poter testimoniare a nome di tutte le Caritas dell’Umbria nell’aula Palo VI e di poter raccontare quella “cultura del bussare”, quella “Carità del campanello” che tanto caretterizza le nostre piccole Caritas umbre e che, come Gesù nel Vangelo, è capace di raggiungere la persona lì dov’è, nel suo spazio di dolore. Il miracolo arriva con la possibilità di narrare le fatiche perché sono proprio quelle a renderci più umani e più fratelli: la fatica di farsi piccoli, di saper fare spazio all’altro e alla sua storia di dolore, di saper togliere le pietre interiori che ci impediscono di ascoltare perché “il tanto fare – ha raccontato un nostro operatore in un’aula Paolo VI in silenziosa attesa – nasconde un rischio: quello di farci dimenticare che i poveri, prima di tutto, hanno bisogno di essere ascoltati.” Il miracolo arriva con un discorso, quello del Papa in quella stessa sala, che sa andare dritto all’Essenziale e che ci ricorda che in mezzo alla preoccupazione per i numeri dei poveri che crescono ci si può immunizzare con forza, condividendo la gioia di essere una grande famiglia. Ed è la gioia di poter stare insieme, dopo un anno e mezzo di incontro negato, che nell’aria è più palpabile insieme a quel discorso che ci ricorda di ri-partire sempre dagli occhi del povero, perché “sono i poveri a mettere il dito nella piaga delle nostre contraddizioni e che inquietano la nostra coscienza in modo salutare, invitandoci al cambiamento” perché quando il nostro cuore, guardando il povero, non si inquieta, “vuol dire che qualcosa non funziona”.
Il miracolo arriva nel ricordarci che «L’amore del Cristo ci possiede» (2 Cor 5,14) e che il banco di prova di tutto è la Tenerezza che in Lui siamo chiamati a portare a chiunque.
“Cari amici, ricordatevi, per favore, di queste tre vie e percorretele con gioia: partire dagli ultimi, custodire lo stile del Vangelo, sviluppare la creatività. Vi saluto con una frase dell’Apostolo Paolo: «L’amore del Cristo ci possiede». Vi auguro di lasciarvi possedere da questa carità: sentitevi ogni giorno scelti per amore, sperimentate la carezza misericordiosa del Signore che si posa su di voi e portatela agli altri. Io vi accompagno con la preghiera e vi benedico; e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!”